Covid, è morto il professor Basso, l’angelo dei bambini malati di tumore

Ex direttore dell’Oncoematologia pediatrica, aveva 73 anni, ha salvato tantissimi bambini ed era uno dei medici più noti e amati del Veneto. Lo scontro con i genitori di Eleonora, che rifiutarono la chemio per la figlia

PADOVA. Da settimane lottava contro il Covid, oggi la notizia della sua morte: si è spento il professor Giuseppe Basso, ex direttore della Clinica oncoematologica pediatrica dell’Azienda Ospedale Università, ricoverato in Terapia Intensiva a causa del Covid.
 
Il professor Basso, uno dei medici più noti e amati in Veneto, era intubato nella Rianimazione diretta dal professor Paolo Navalesi.
Settantatré anni compiuti un paio di settimane fa, il professor Basso è stato direttore dell’Unità operativa complessa della Clinica di Oncoematologica Pediatrica, da dove si è congedato tre anni fa restando tuttavia uno dei grandi sostenitori della nuova Pediatria.
Laureatosi in Medicina e Chirurgia nel 1974 all’Università di Padova, successivamente si è specializzato in Ematologia clinica e di laboratorio e in Clinica pediatrica.
È stato professore ordinario di Pediatria, presidente dell’Istituto di ricerca Città della Speranza, direttore del dipartimento Salus Pueri, nonché presidente del corso di laurea in Infermieristica pediatrica.
Suo malgrado divenne famoso a livello nazionale quando portò in tribunale i genitori di Eleonora Bottaro, la ragazza morta di leucemia a cui i genitori avevano negato la chemioterapia che avrebbe potuto salvarla.
«Questo è un centro di eccellenza con le pezze sul sedere». Da un uomo elegante con il ciuffo bianco dei capelli perfettamente pettinato e un contegno sabaudo come il professor Giuseppe Basso non ti aspetteresti immagini così crude e senza un grammo di ipocrisia. Ma varcare la porta di un reparto di oncoematologia pediatrica è come superare un confine invisibile in cui tutto si semplifica. Compresi gli zigzag tra verità e finzione nei quali finiscono per eccellere tutti i sani o coloro che si credono tali.
Le terapie possono durare due o tre anni. All’ingresso del reparto ci sono le targhe che riportano i nomi dei benefattori – piccoli e grandi imprenditori del Nordest, dai Tabacchi ai Pagnan – che nella seconda metà degli anni 90 staccarono un assegno di un paio di miliardi di vecchie lire per la costruzione di questo reparto, con un risparmio del 30% del costo per strutture analoghe. Basso traduce il dato in metri quadrati: “Tre milioni di vecchie lire invece di otto”. Ha funzionato, ma è sulla replicabilità dell’operazione che si nutrono forti dubbi. Oncoematologia scoppia: c’è bisogno di spazio, di un reparto per gli adolescenti (“come si fa a far convivere un ragazzo che vuole ascoltare i Coldplay e un bambino che guarda i cartoni?” esemplifica Basso), di un nuovo reparto per il trapianto di midollo che abbia più dei sei posti attuali, poi servono almeno sette infermieri e psicologi.
 
Estratto dall’articolo “Viaggio nell’ospedale dei bambini dove la salute fa i conti con la mancanza di fondi” scritto da Mariano Maugeri per il Sole24Ore il 13 giugno 2021, lo trovate qui.
«Voi tutti, a partire dai volontari di Team For Children, insieme ai medici, agli infermieri, agli assistenti e ovviamente ai genitori, siete un bellissimo esempio di solidarietà, di positività pur nelle tante difficoltà, di speranza e di voglia di non fermarsi». Con queste parole, il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, aveva salutato il 17 luglio 2018 la nascita della «Teen Zone», il nuovo spazio dedicato a malati adolescenti e giovani alla clinica di Oncoematologia pediatrica del Giustiniani.
 
La cerimonia inaugurale, orchestrata dal condirettore del nostro giornale Paolo Cagnan, ha calamitato una folta rappresentanza politica: dai parlamentari – Arianna Lazzarini, Lorena Milanato, Roberta Toffanin, Adolfo Zordan, Antonio De Poli – ai consiglieri regionali Fabrizio Boron e Luciano Sandonà, al rappresante della Provincia Vincenzo Gottardo.
Con i riflettori puntati sull’artefice principale dell’evento: Chiara Girello Azzena, presidente dell’Onlus Team For Children, spalleggiata da Giuseppe Basso, il primario della Clinica.
 
«Vi voglio presentare un mastino fatto donna. Senza di lei, la forza e la tenacia, sue e dei volontari del Team, qui oggi non ci sarebbe niente». Dobbiamo solo dire loro grazie e non aggiungere altro, se non che hanno anche saputo sconfiggere le carte, la burocrazia e tutto quanto si è messo di mezzo, perché oggi siamo qui felici per una nuova realizzazione, ma non si creda che non ci siano stati anche dei notevoli freni a mano tirati», la chiosa di Zaia, visibilmente emozionato.
 
Subito dopo il taglio del nastro, alle autorità istituzionali sono state consegnate alcune scatole che, spalancate, hanno liberato decine di papillon bianche, «il simbolo dei bambini e dei ragazzi meno fortunati, che non ce l’hanno fatta e sono diventati farfalle salendo in cielo» le parole di basso «L’idea della Teen Zone è nata da un gruppo di ragazzi che aspiravano ad uno spazio autonomo rispetto ai pazienti bambini e il governatore ci ha dato una mano per aggirare gli ostacoli», racconta l’indomabile Chiara; «Questi giovani non sono spettatori ma protagonisti della loro vita», le fa fa eco Basso con la franchezza del medico veterano «affrontano una diagnosi dura e un ciclo di cure che provoca perdita dei capelli, vomito, debolezza. Per loro, ogni giorno è una conquista, sono leoni coraggiosi, diventeranno persone fantastiche. Ci offrono assai più di quanto ricevano».
Il caso Bottaro
 
Libera scelta della cura fino all’estrema decisione di rischiare la pelle? Oppure manipolazione di una giovane vita indotta a credere nelle posizioni antiscientifiche coltivate dai genitori? Ogni vicenda umana si può prestare a tante letture. E così anche la triste vicenda di Eleonora Bottaro, la studentessa di Bagnoli morta a 18 anni appena compiuti il 29 agosto 2016 per leucemia linfoblastica acuta, dopo aver rifiutato la chemioterapia quando era ancora minorenne.
 
A processo davanti alla Corte d’appello di Venezia il procuratore generale ha sollecitato la conferma della sentenza di primo grado, due anni a ciascuno dei genitori, il papà Lino Bottaro e la mamma Rita Benini (unica presente in aula), seguaci della Nuova Medicina del medico (radiato) tedesco Ryke Geerd Hamer. I due avrebbero «impedito la somministrazione di idonea terapia».
 
Opposta la richiesta del difensore, l’avvocato Raffaella Giacomin che ha chiesto il giudizio d’appello, reclamando l’assoluzione. Il legale ha focalizzato il tema del processo: non è il consenso informato quanto la libertà di scelta delle cure. E ha ricordato come nessuno può essere sottoposto a un trattamento contro la sua volontà, ribadendo che per legge, il paziente può rifiutare le cure e le informazioni sulla malattia. Poi ha insistito: nessun plagio, mamma e papà hanno solo protetto la figlia da pressioni esterne rammentando che Eleonora aveva scritto di aver subito in Oncoematologia una forma di «terrorismo psicologico».
 
Nel Natale 2015 la scoperta della malattia. Poi il rifiuto dei protocolli con la “fuga” in una clinica Svizzera a Bellinzona prima che il tribunale sospendesse la responsabilità genitoriale ai coniugi Bottaro. Nemmeno il tutore (il professor Pasolo Benciolini) riuscì a far cabbiare idea a Eleonora contraria alla chemio. La sentenza il 18 febbraio 2021.
 
(Cristina Genesin)
Di seguito una sua intervista proprio sul caso di Eleonora
 
Basso: «La tutela di una libertà non può andare oltre la vita»
«La tutela di una libertà non può andare oltre la vita». Parla così il professor Giuseppe Basso, direttore dell’Oncoematologia pediatrica dell’ospedale di Padova, il camice bianco dei bambini e ragazzi che si ammalano di cancro. Il medico ha avuto in cura Eleonora Bottaro nel 2016, quando la giovane e la sua famiglia hanno rifiutato la chemioterapia.
 
Professor Basso, hanno prosciolto i genitori di Eleonora perché non sussiste reato. Cosa ne pensa? 
«Non sono stupito. Io non ho nulla contro i genitori di Eleonora Bottaro. Con lei ho sempre avuto un comportamento corretto, come avrebbe fatto chiunque altro».
 
In che senso?
«Ho cercato di curare una paziente che era affetta da una malattia guaribile. Questo però non mi è stato possibile, quindi mi sono subito impegnato a trovare una via alternativa. Ho tentato di superare la volontà espressa dai genitori rivolgendomi al Tribunale dei Minori. Poi la storia, purtroppo, la conoscono tutti. Ricordando tutto questo provo solo una profonda tristezza. I genitori di Eleonora hanno già sofferto abbastanza nella loro vita, hanno perso due figli e accanirsi ulteriormente mi sembra non opportuno.
 
Ritiene che ci siano state lacune a livello etico o legislativo?
«Tutto questo rientra nel concetto della patria potestà e della capacità del minore di decidere per se stesso. I ragazzi sono molto più maturi di quanto pensiamo, già prima della maggiore età. Molti anni fa ho seguito personalmente un progetto di legge che prevedeva l’abbassamento della “maggiore età” nel caso delle decisioni mediche. Iniziativa che poi non è andata a buon fine. Ma a questi livelli, in casi così complessi e delicati, una regola rigida non funziona. Serve una valutazione puntuale garantita da esperti: tecnici che siano in grado di dire se il paziente, minore o maggiorenne, è consapevole e cosciente di ciò che gli sta accadendo. Serve un team che dica chiaramente: “Questo ragazzo è in grado di fare delle scelte e quest’altro no”».
 
Quindi ogni singolo caso è a sé? 
«Sì. Ho molti pazienti tra 17 e 18 anni, quindi della stessa età di Eleonora quando si è ammalata. Sono tutti ragazzi molto decisi e determinati a guarire perché la vita è una sola e se la vogliono giocare». Un team di esperti, dunque, potrebbe avere un ruolo importante a sostegno delle famiglie e dei ragazzi? «Le decisioni che oggi deputiamo al Tribunale dei Minori o altre istituzioni forse dovrebbero essere più rapide e concrete. C’è bisogno di un regolamento più semplice e veloce per poter trovare una soluzione. Non si può aspettare. La vita dovrebbe essere sempre garantita».
 
(Elisa Fais)