Covid, morto a Conegliano il cardiochirurgo Paolo Da Col

La sua brillante carriera era stata spezzata dal Parkinson. Era nell’equipe che eseguì il secondo trapianto di cuore, due giorni dopo Gallucci

CONEGLIANO. È morto la sera di Capodanno, Paolo Da Col. Aveva 71 anni, lo ha stroncato il Covid 19.

Era uno dei cardiochirurghi più noti, dal curriculum prestigioso interrotto prematuramente, già nel 1998, dal morbo di Parkinson.

Originario di Pieve di Cadore, viveva da molti anni a Conegliano. Aveva lavorato per quasi vent’anni a Udine, nella cardiochirurgia del “Santa Maria della Misericordia”, nella straordinaria equipe del dottor Cesare Puricelli che il 23 novembre 1985 esegui il secondo trapianto di cuore in Italia, un paio di giorni dopo quello del team padovano guidato dal prof. Vincenzo Gallucci, grazie al cuore del trevigiano Francesco Busnello.

Da Col era ricoverato all’ospedale di Vittorio Veneto da giorni. Era assistito da anni dalla sorella Giovanna, da Amit Rana e Sanu Magar.
Figlio di Italo Da Col, direttore amministrativo della Zoppas, e di Maria Strocchi: si era diplomato al classico di Padova prima di laurearsi brillantemente in Medicina al Bo.
Dopo le prime esperienze a Massa Carrara con il professor Azzolina, allora forse il primo cardiochirurgo al mondo, l’approdo a Udine.
«All’inizio degli anni ’80, quando ero aiuto del primario Meriggi, eravamo in crisi con la chirurgia di rivascolarizzazione miocardica», racconta Puricelli. «Un chirurgo della squadra, di ottima manualità e di particolare carisma, era stato incaricato. Dopo un’esperienza in Olanda, aveva adottato una tecnica: un solo segmento di vena, abboccato in sequenza ad ogni ramo coronarici malati. Tecnica brillante e di successo, se tutto andava bene Ma bastava che un abboccamento non funzionasse, e allora il paziente non migliorava o o moriva. Il chirurgo di carisma venne via via sfiduciato, e toccò a me e a Paolo l’imparare una tecnica più valida».
Una delle esperienze formative che più hanno segnato la carriera di Da Col: «Venne scelta la Cardiochirurgia del Klinikum Grosshadern, a Monaco di Baviera», riannoda il nastro dei ricordi Puricelli, «Il professor Bernhard Kemkes, ottimo chirurgo anche coronarico, era mio amicio. Tre mesi lì, io e Paolo, ciascuno con la sua camera e con la possibilità di prepararci confezionando abboccamenti su tubicini di plastica che simulavano le coronarie. E come brillava Paolo per l’ordine: fu subito evidente che era più veloce di me nell’operare. Quando lasciai per la pensione, aveva smesso: erano arrivai i primi segni del morbo che gli toglieva il controllo dei movimenti, senza contare i sintomi neurologici. Una fine paradossale. Il Covid adesso gli ha dato il colpo di grazia».