Treviso, i ricordi del padre morto di Covid in tre sacchetti della spazzatura

Il dolore di Mariangela per le severe norme anti contagio: gli effetti personali riconsegnati in buste nere

TREVISO. Per Mariangela il dolore ha il colore nero e la forma di tre sacchetti della spazzatura. Suo padre Michele Biral, 88 anni, è stato ricoverato al Ca’ Foncello agli inizi di dicembre ed è mancato all’alba di lunedì 4 gennaio.

Prima lo scompenso cardiaco, poi il Covid, il fisico sempre più debilitato. Allo strazio per la morte del padre in solitudine, imposta a tutti dalla pandemia, si è aggiunto un secondo dolore. «L’altro ieri mi hanno chiamata dall’ospedale per ritirare gli effetti personali di mio padre. Mi hanno consegnato tre sacchi dei rifiuti chiusi dallo spago con dentro le sue cose». Uscendo dal reparto ha trovato appoggio contro il muro di un corridoio. «Ero disarmata e avvilita. Immersa nella tristezza ho pensato a mio padre: entrato persona e ora di lui avevo solo degli oggetti avvolti nel nylon».

Dipende, purtroppo, dalle severe norme anti contagio: gli effetti, conservati con cura, vengono riconsegnati in buste di nylon da aprire dopo diverse ore. Sul colore nero, anche l’Usl però ha parlato di «scelta pessima». Accarezzando con dolcezza quel materiale opaco ha provato a indovinare cosa ci fosse dentro. Sicuramente la biancheria intima, il pigiama, il telefonino che si era portato con sé anche se non lo sapeva usare, e nella sporta più pesante pile di referti.


L’ultimo capitolo

L’ultimo capitolo della storia di Michele inizia il 4 dicembre, il suo cuore perde colpi, viene ricoverato in Seconda Medicina al Ca’ Foncello per scompenso cardiaco. Il primo tampone per il Covid è negativo. Stava per essere dimesso ma un nuovo tampone segnala che è positivo. Viene trasferito in area Covid 2 di Malattie Infettive. Le dicono che il padre è asintomatico, nonostante gli acciacchi la situazione stazionaria. Di lì a qualche giorno Michele viene trasferito all’ospedale di comunità che accoglie i degenti Covid.

«Mi dicono che è ancora positivo, ma respira autonomamente e la tac è a posto. Poi dal 17 al 24 dicembre non riesco ad avere notizie, quindi la Vigilia di Natale contatto l’Urp e riesco a parlare con il medico». Il tampone ripetuto a fine dicembre risulta negativo, ma le condizioni di Michele peggiorano. Il 3 gennaio è il giorno dell’ultima carezza. In questi mesi l’Usl 2 ha lavorato molto per umanizzare i percorsi e facilitare il contatto tra pazienti contagiati e familiari.

Umanizzazioe delle cure

Sulla vicenda del signor Michele il direttore del Ca’ Foncello Stefano Formentini commenta: «Effettivamente la scelta di riporre gli effetti del paziente nei sacchi neri è stata pessima e questa cosa andrà rivista, magari utilizzando dei contenitori bianchi. Ma quel che è accaduto è stato fatto in assoluta buona fede, gli indumenti sono stati piegati con cura, dati in mano alla figlia facendole le condoglianze. Non volevamo mancare di rispetto a nessuno. Ci dispiace».

La vicinanza alla famiglia Biral, come a tutti i parenti che hanno i loro affetti ricoverati per coronavirus è massima, fa notare il dirigente. «Siamo accanto a chi sta attraversando un momento difficile, ho raccomandato a tutti i reparti Covid di telefonare quotidianamente ai parenti». L’Usl di Marca ha inoltre acquistato una serie di tablet per le video chiamate in corsia. E come è accaduto per Michele, nella fase terminale i familiari più stretti possono entrare in reparto indossando mascherina e tuta anti-contagio.

«Proteggiamo la terminalità» aggiunge Formentini «anche ieri mattina un familiare morente in Pneumologia ha potuto salutare la figlia. Vogliamo essere vicini alle persone e alla loro sensibilità». L’elaborazione del lutto è un lungo viaggio appena iniziato per Mariangela. «Se chiudo gli occhi rivedo mio padre felice tra i campi di grano».